L’AdS, amministratore di sostegno, compie 10 anni. La legge di modifica del Codice civile che lo ha istituito, la n.6 del 2004, entrava in vigore nel marzo di quell’anno. E proprio in coincidenza con l’anniversario le cronache si sono occupate del caso Lollobrigida. Il figlio della grande attrice ha infatti richiesto al tribunale l’assegnazione di un amministratore, ritenendo la madre –con la quale i rapporti si sono rarefatti- bisognosa di assistenza per la cura del patrimonio. La vicenda ha suscitato stupore. Davvero la Lollo, così vivace e lucida nelle apparizioni tv e nelle interviste che continua a rilasciare, nonostante i suoi 87 anni, non è più in grado di gestirsi e di gestire i propri beni? Il caso è complesso e non merita di essere liquidato con superficialità. Può essere però uno spunto per una riflessione sulla validità di quest’istituto.
Stefano Picciaredda   Alexia Paolino

L’istituto dell’AdS è stato concepito nell’intento di assistere, anche temporaneamente, una persona impossibilitata “a provvedere ai propri interessi”, a causa “di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica” (art. 404). Senza giungere allo stato di interdizione –con conseguente perdita totale di capacità di agire legalmente- o di inabilitazione –che inibisce gli atti di straordinaria amministrazione-, qualsiasi persona in difficoltà può chiedere l’aiuto di un amministratore che verrà incaricato dal giudice a compiere atti a suo nome e per suo conto. Trovare e pagare un badante, ad esempio. O stipulare un contratto di affitto, o curare un investimento, o fare acquisti per la casa. L’amministratore agisce nei limiti dell’incarico stabilito dal giudice, “tenendo conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario” (art. 410). È evidente che il numero di anziani e disabili che può avere bisogno dell’amministratore di sostegno è nel nostro paese enorme. L’istituto, dopo il rodaggio iniziale, si è ormai affermato, ed è facile prevedere un crescente ricorso ad esso da parte, soprattutto, degli anziani. Le iscrizioni agli albi degli amministratori di sostegno costituiti presso i tribunali civili si stanno moltiplicando, sebbene il compito, anche gravoso, non preveda retribuzione alcuna. L’amministratore può infatti essere scelto dal giudice tra i parenti del beneficiario, il quale può indicare una figura di sua fiducia; ma può anche essere selezionato tra gli iscritti all’apposito albo. E ciò avviene, in particolare, quando a richiedere la nomina dell’AdS è una figura terza tra quelle indicate dalla legge, ovvero un responsabile del sistema sanitario o sociale. La durata, i compiti, i poteri dell’AdS possono essere limitati o amplissimi, riducendo in questo caso al minimo o a zero le facoltà decisionali del beneficiario: tutto dipende dalla deliberazione del giudice. Con l’assegnazione, inizia un particolare, delicatissimo rapporto tra colei o colui che ha scelto o subito la collaborazione di un altro nella gestione della propria vita, e l’AdS. Un rapporto che può risolversi in una felice esperienza di sostegno, in grado di migliorare decisamente la qualità della vita –poniamo- di un anziano, liberandolo da preoccupazioni e proteggendolo da truffe. O divenire, viceversa, un rapporto difficile e conflittuale, nel caso in cui i desideri dell’anziano non collimino con le opinioni dell’AdS, che si trova, ovviamente, in una posizione di forza. L’esempio tipico, verificatosi spesso, riguarda il luogo in cui vivere: casa o istituto? Non di rado gli AdS propendono per il secondo, ritenendolo più consono agli interessi dei beneficiari. L’unico soggetto in grado di dirimere i conflitti è il giudice. Al quale è sempre possibile –e doveroso- rivolgersi per chiedere una verifica degli atti compiuti dall’AdS, o la sua sostituzione. La pratica di questi anni, tuttavia, ha mostrato una generale scarsa propensione, da parte dei beneficiari, a far valere le proprie ragioni innanzi al giudice in caso di conflitto o insoddisfazione. Per farlo, infatti, bisogna pur sempre intraprendere una serie di atti ufficiali non semplicissimi da realizzare: occorrerebbe, specie per chi è più solo o in difficoltà, un secondo amministratore ad hoc! Ecco dunque il problema: chi mi difende da colui che è deputato a difendermi, nel caso in cui questi non lo faccia o lo faccia a modo suo, senza tener conto della mia volontà, ora più difficile da far valere? I casi di abuso, purtroppo, non mancano. Sono numerosi e andrebbero raccolti in un dossier capace di individuare le debolezze del sistema e suggerire i necessari correttivi. Significativamente, proprio nella città in cui l’esigenza di amministrazione di sostegno è stata concepita, Trieste, in quegli ambienti basagliani che hanno reso l’Italia all’avanguardia nel mondo quanto a protezione delle persone con disagio psichico, si è acceso un dibattito fortemente critico sugli AdS, in seguito ad abusi documentati e passati all’esame della magistratura. Ma gli AdS sono necessari, così come tutte le figure di sostegno a chi ha un’autonomia ridotta. Solo, dopo dieci anni, è necessario un ripensamento.
 Stefano Picciaredda  Alexia Paolino