Marc Augé in questo piccolo e scorrevole libro sviluppa una riflessione acuta e delicata sulla vecchiaia. Il grande antropologo, raggiunta un’età avanzata, non può fare a meno di raccogliere pensieri e considerazioni sulla vecchiaia. L’esperienza dell’autore, come di tanti altri anziani, è quella di ritrovarsi giudicati secondo luoghi comuni scontati quanto superficiali. L’idea più comune è che la vecchiaia sia una stagione della vita che scorre lenta, senza sorprese e un po’ triste. Il termine “vecchio” viene infatti spesso accostato ad aggettivi come brutto, logoro e superato. Così alla fine anche gli anziani si convincono di dover “subire” un’età carica di difficoltà e segnata dal decadimento del corpo. Augé invece dichiara nel suo libro : “La vecchiaia non esiste”, o almeno non esiste la vecchiaia così come abitualmente viene descritta e concepita.
Mi sembra che questo sia il cuore del libro: “Avere la nostra età vuol dire vivere i suoi segni, che sono comunque segni di vita. Dietro i pretesti proclamati di chi si dimostra attento al proprio corpo, possiamo scoprire la voglia di vivere pienamente come invitava Cicerone. Il vivere pienamente è un ideale che molti non hanno potuto raggiungere durante la loro vita definita “attiva” , a causa di diversi obblighi che li vincolavano e pesavano su di loro. Succede allora che il pensionamento sia effettivamente vissuto come rinascita o liberazione , come l’occasione di prendersi finalmente il tempo di vivere- vivere senza scadenze, di prendersi il proprio tempo, senza più preoccuparsi dell’età.” Dunque la vecchiaia viene descritta come un’età in cui il tempo si dilata. Allora è bene riflettere, secondo l’autore su come spendere il proprio tempo.
Il primo consiglio è quello di non cedere alla nostalgia, che spesso reinventa un passato mai esistito. Il continuo tornare ai ricordi e ai fatti del passato con rimpianto infatti non aiuta a vivere il presente con serenità e a guardare al futuro. Per Augè infatti la vecchiaia è un’età in cui si può vivere l’attesa per il futuro e si possono accogliere le novità. Il secondo consiglio è quello di non isolarsi, ma di vivere di relazioni e di incontri perché : “gli esseri umani vivono consapevolezze individuali ma hanno bisogno di altri per esistere appieno”. La vecchiaia è l’opportunità di vivere nuovi rapporti. Privilegio di cui alcuni non hanno potuto godere e di cui dunque è bene essere grati. Infine il terzo consiglio è quello di non cedere all’abitudine che alla fine spinge a non “ri-pensarsi” e ad abbracciare una sorta di pigrizia.
La conclusione dell’autore è dunque che la “vecchiaia non esiste”. Certo i corpi si logorano, ma la soggettività resta, ed è così che alla fine “tutti muoiono giovani”.