A casa è meglio. Meglio dell’istituto, meglio di qualsiasi altra soluzione, restare da anziani nella propria casa è senza dubbio la prospettiva che le famiglie e gli stessi anziani sembrano finalmente preferire sempre più spesso. Magari con l’aiuto di una “badante”. E’ il quadro che emerge da un’interessante inchiesta condotta dal Censis e dall’Ismu per conto del Ministero del Lavoro, diretta appunto a fotografare il mercato dei servizi di cura e di assistenza per le famiglie e i loro vecchi. Il dato che per primo balza agli occhi è l’incremento del numero di collaboratori che prestano servizi di cura alla persona, con diverse formule: nel 2001 erano circa un milione, oggi sono 1.655.000, ben il 53% in più. Quasi tutte di sesso femminile, la maggior parte dell’Est Europa. Altro dato che fa riflettere è la percentuale di italiani che svolge mansioni da “badante”: si tratta del 22%, con punte che al meridione toccano il 36%.

Non è un segreto che l’invecchiamento della popolazione italiana, unito alla frammentazione della famiglia tradizionale, costituisca già da parecchi anni una tendenza in aumento, che continuerà sicuramente almeno nei prossimi 15-20 anni. Ciò che la ricerca mette in evidenza è che l’aumento della domanda di assistenza e cura domiciliare porterà ad un fabbisogno di almeno mezzo milione di collaboratori in più nel 2030. Cioè, 500.000 posti di lavoro, per altrettanti anziani che sceglieranno di rimanere in casa.
Il boom delle badanti, in Italia, è stato un fenomeno spontaneo, favorito anche dall’assenza di servizi pubblici dedicati, alimentato dal passaparola e dal contatto diretto tra datore di lavoro e dipendente. Dall’iniziale “deregulation” si è passati poi ad una dimensione più solida e tutelata del rapporto di lavoro: la maggior parte delle badanti percepisce regolarmente stipendio, contributi, ferie, malattia, tredicesima e liquidazione. Oltretutto il 70% considera il proprio lavoro come “stabile e soddisfacente”. Da parte delle famiglie, poi, l’impegno economico è si rilevante ( la media è di 667 euro al mese, ma si arriva ai 900), tuttavia sicuramente meno oneroso della quota di qua
lsiasi istituto o casa di riposo.
Le suggestioni che questo studio propone sono numerose ed interessanti: facilitare l’incontro tra domanda e offerta, oggi ancora appannaggio di passaparola o di associazioni di volontariato. Spostare i costi assistenziali dello stato a favore di una maggiore domiciliarità.
Fornire un quadro giuridico che preveda varie formule di assistenza alla persona, tutelando chi presta il servizio e chi ne gode.
Estendere l’iscrizione del collaboratore ad un registro di collocamento, ed insieme favorirne la formazione.
Forse anche per i circa 3 milioni di disoccupati italiani questa potrebbe essere un’appetibile scelta  lavorativa.