Michele Farina, giornalista del “Corriere della Sera”, ha visto sua madre perdere progressivamente la memoria a causa dell’Alzheimer , fino a divenire quasi irraggiungibile. Le è rimasto accanto fino alla fine cercando in qualche modo di renderle più sopportabile la malattia. A dieci anni dalla morte della madre, Farina intraprende un viaggio nel mondo dei malati di Alzheimer ,una patologia sempre più diffusa, complice l’allungarsi della vita, eppure “nascosta”, vissuta come un tabù, con dolore e vergogna, spesso nell’isolamento. Ne nasce il bel libro-inchiesta “Quando andiamo a casa?”  che descrive l’Italia dell’Alzheimer attraverso le vicende di pazienti, famiglie, operatori, ricercatori, strutture e associazioni. Farina ci racconta le storie di malati comuni e di quelli più famosi, alcuni dei quali hanno scelto di raccontare pubblicamente le loro difficoltà in modo da aiutare il superamento del pregiudizio. Tra questi Pat Summit, allenatrice di una squadra di pallavolo statunitense ed il famoso scrittore fantasy Terry Pratchett che attraverso il suo blog comunica con i suoi fan e racconta con “ironia” le difficoltà della vita quotidiana, quando si cominciano a dimenticare le cose. Quello di Farina è un lungo viaggio, che lo conduce a percorrere l’Italia da Nord a Sud , con qualche tappa anche all’estero. Il risultato è un libro molto documentato e ricco di spunti e riflessioni, che spiega la malattia da un punto di vista medico, illustrando anche le ultime novità della ricerca scientifica come la cura sperimentale con il farmaco  Crenezumab. Ma soprattutto è un libro che mette al centro la storia ed il vissuto quotidiano dei malati e delle loro famiglie in un’Italia impreparata ad affrontare il problema , che investe molto meno risorse rispetto ad altri paesi europei per combattere questo tipo di malattie degenerative. Farina visita moltissime strutture per malati di Alzheimer, quelle diurne, su cui ha un giudizio più positivo, e le numerose R.S.A. in cui i malati sembrano sempre tristi e spaesati. Finge di cercare un posto per la mamma anziana e confusa e intanto raccoglie informazioni e testimonianze. Così il libro ci descrive in modo preciso, anche attraverso il giudizio dei familiari, tanti luoghi di cura, quelli all’avanguardia e quelli più algidi. Ci racconta di tanti medici ed infermieri, quelli che praticano solo le terapie di contenzione e quelli che invece cercano le strade per far star meglio i malati. Tantissime sono le terapie sperimentali: in Germania alcune strutture hanno allestito delle finte fermate dell’autobus, in modo che chi cerca sempre la strada per tornare a casa, si fermi ad aspettare. E’ un modo di scongiurare la fuga dei pazienti che altrimenti rischierebbero di perdersi, senza ricorrere ai metodi di contenzione. In Arizona ci sono invece strutture, dove sembra non tramontare mai il sole. I lavoranti cercano sempre di assecondare le richieste dei pazienti, anche quando confondono la notte per il giorno. Così si serve la colazione in piena notte e a volte si dorme di giorno. E’ un modo di rassicurare chi è confuso e di non alimentare l’agitazione di chi non riesce ad orientarsi. In Olanda ad Hogewey, addirittura si è riprodotta una cittadina con negozi, caffè e teatri dove i ricoverati, quasi tutti confusi, possano condurre un’ esistenza normale, sempre assistiti da personale sanitario. Anche in Italia c’è qualche struttura che applica metodi non convenzionali come a Gallarate dove una R.S.A. si è gemellata con l’Asilo Nido del Melo e i bambini vanno quotidianamente a trascorrere del tempo con gli anziani. Invece in alcune  strutture è stato allestito il Treno della memoria, un finto vagone sui cui finestrini vengono proiettate immagini di paesaggi. Sembra che per molti malati compiere questo viaggio immaginario abbia una funzione calmante. Poi c’è il progetto Diogene, una sorta di vigilanza satellitare per i malati di Alzheimer, in particolare per quelli che vivono a casa propria. Ogni anno infatti ci sono persone che si perdono e rischiano la vita in questo modo. Certo alcune forme di terapia appaiono insolite ma sono comunque tentativi di mitigare la fatica ed il dolore di chi fa l’esperienza di perdere progressivamente la memoria. In sintesi è il tentativo di valorizzare la vita anche in un momento di estrema debolezza. Così quando non si può far molto per risvegliare la memoria si cercano le strade almeno per rassicurare. Come spiega bene Farina, che ha vissuto da vicino la malattia della madre: “Ho il sospetto che la retorica della qualità della vita a discapito della quantità nasconda talvolta l’insofferenza nostra per la vita altrui quando è imperfetta, sminuita e a corto di risorse.” Questo libro raccoglie invece la testimonianza di tanti, malati e familiari di malati, che non rinunciano a lottare contro la malattia e difendono il valore della vita in ogni condizione.