Il divario digitale indica una forma di disuguaglianza che riguarda l’accesso alle nuove tecnologie di comunicazione, in particolare a Internet. Il mancato utilizzo della Rete non riguarda solo una dimensione di equità sociale, ma investe lo sviluppo stesso di un paese o di un territorio: non è quindi importante solo sotto il profilo sociale, grazie alle nuove opportunità di accesso alle informazioni e alla conoscenza, ma anche dal punto di vista dell’efficienza e dello sviluppo. Gruppi di individui partecipano maggiormente alla “società dell’informazione”, ne sfruttano i vantaggi, rafforzano le proprie capacità di compiere appropriate scelte di vita, a differenza di altre categorie.
Rispetto ai primi timidi studi degli anni Novanta, oggi è possibile rintracciare un consenso diffuso sul fatto che il digital divide sia un fenomeno complesso e che vada oltre il semplice accesso alla tecnologia: la concezione di un divario in base all’accesso si sposta gradualmente verso l’idea di un “pieno accesso sociale”, contrapponendone uno formale ad uno effettivo.
Di conseguenza, con una certa sorpresa di chi sposava l’ipotesi della normalizzazione, secondo cui il fenomeno in questione è transitorio e destinato a risolversi grazie alle virtù taumaturgiche del tempo e del mercato, oggi si parla sempre di più di digital divide, anche in riferimento ai paesi industrializzati. Il divario si è evoluto in disuguaglianza digitale.
Avere accesso ad Internet a qualsiasi costo non è più sufficiente: non è la stessa cosa fruire o meno della banda larga; non lo è utilizzare esclusivamente l’e-mail per comunicare o usufruire di tutti gli altri mezzi che la Rete mette a disposizione; non lo è essere semplici ricettori di informazioni, come se Internet fosse identico a qualsiasi altro mezzo di comunicazione di massa, o essere prosumer, cioè produttori di contenuti online; non lo è infine instaurare relazioni unidirezionali con le istituzioni piuttosto che interazioni dirette.
In estrema sintesi, oltre al semplice accesso a Internet, occorre analizzare le differenze nelle capacità d’uso, la frequenza, il luogo da cui si collega, il tipo di connessione di cui si dispone.
Il Report “Internet@Italia 2014. L’uso di Internet da parte di cittadini e imprese” a cura e Istat e Fondazione Ugo Bordoni, cerca di fornire risposte a due interrogativi specifici:
• Come differiscono le modalità di uso della Rete da parte dei giovani rispetto agli anziani?
• Come incide il mancato uso di Internet sulla marginalità sociale?
L’analisi statistica mostra senza ombra di dubbio che l’età è la variabile di gran lunga più importante nello spiegare l’uso elevato di Internet, seguita dal titolo di studio e dalla condizione professionale (studente, disoccupato/a, occupato/a, in pensione, casalinga, etc.). Tutte le altre variabili, comprese quindi quelle di natura tecnologica (disponibilità e tipologia di connessione) svolgono un ruolo molto minore a parità di condizione. Dopo i 34 anni l’uso di Internet diminuisce al decrescere dell’età per poi precipitare dopo i 55 anni.
A questo proposito si parla spesso di differenza antropologica fra le classi di età più giovane e quelle meno giovani; i primi, nati con la Rete o nativi digitali, i secondi, gli immigrati digitali, che con la Rete hanno dovuto fare i conti da adulti.
I nativi (che per comodità allarghiamo in questo contesto fino a coloro che hanno 34 anni) prediligono le attività di tipo comunicativo, di tipo “virtuale”: sono attività “nuove”, nate con la rete (l’uso di Facebook, Instagram, YouTube, Twitter fa parte della loro esperienza quotidiana).
I meno giovani (dai 35 anni in poi) utilizzano la Rete prevalentemente come “sostituto” di attività tradizionali (cercare informazioni online, utilizzare servizi bancari, prenotare biglietti, utilizzare la posta elettronica, scaricare moduli della PA).
La Rete scava inoltre un solco profondo fra utilizzatori e non utilizzatori e concorre a determinare comportamenti diversi in ambito sia sociale sia economico: gli utenti di Internet mostrano una frequenza nettamente superiore di attività socio-culturali rispetto ai non utenti.
L’attività in cui si riscontra la differenza più significativa, quasi 50 punti percentuali, è recarsi al cinema che viene svolta dal 65,9% degli utenti Internet adulti a fronte del 16,8% dei non utenti. Seguono la lettura di libri, svolta dal 56,3% degli utenti a fronte del 21,8% dei non utenti, per una distanza di 34,5 punti percentuali, e visitare musei e mostre (40,2% degli utenti e 9,2% dei non utenti). I non utenti, inoltre, parlano molto meno di politica (quasi 26 punti in meno). È importante notare che le stesse distanze si riscontrano anche all’interno delle stesse classi di età.
Riflettere sul digital divide in questo contesto, piuttosto che confinarlo all’interno della speculazione informatica e sottrarlo al destino di fenomeno “tecnologico”, ci aiuta a considerare i dati nel loro insieme. Emerge un quadro sfaccettato, ma coerente che aiuta a comprendere meglio alcune dinamiche sociali, integrative e civili.