All’alba di settantuno anni fa la bellissima città di Roma e i suoi figli subivano una violenza che non si può dimenticare: fra i vicoli antichi del Portico d’Ottavia, i nazisti strapparono dalle loro case le famiglie degli ebrei romani, per destinarli alla deportazione e alla morte nei campi di sterminio. Erano in 1.024 uomini, donne, bambini, anziani, colpevoli solo di essere oggetto del disegno omicida del Terzo Reich. Da quel viaggio nell’inferno dell’umanità tornarono solo in sedici, l’unica donna era Settimia Spizzichino, che dedicò il resto dei suoi giorni a far conoscere quell’orrore. Oggi, dopo settanta anni, molti testimoni sono scomparsi ( da pochissimo ci ha lasciato Mario Limentani, testimone appassionato nel trasmettere ai giovani la sua storia), ma la memoria è ancora viva fra i sopravvissuti; tanti, che oggi sono anziani, c’erano e hanno qualcosa da testimoniarci: chi è stato salvato da un vicino di casa e chi, con un piccolo gesto di accoglienza, è stato determinante per la salvezza di un altro. Proviamo a raccogliere queste testimonianze: frammenti di piccoli , che hanno fatto la storia. Maria Zenobi, che oggi ha 90 anni, viveva con la sua famiglia di cristiani al Portico d’Ottavia. Racconta con nostalgia i giorni della scuola elementare, frequentata insieme alle sorelle Limentani, allontanate poi dalla scuola in seguito alle leggi razziali.

“Di quella mattina del 16 ottobre ci dice: “Mi ricordo ancora bene che quella mattina stavo ancora a letto, ma non dormivo, ho inteso gente che strillava e che correva in mezzo ai vicoli; repentinamente si sparse la voce che c’era stata una retata. Nei giorni successivi quello che sarebbe diventato mio marito, Giusto De Gregori incontrò il suo amico Alberto Di Segni, che si nascondeva in un casale di campagna, che gli raccontò come soffrisse la fame insieme alla sua famiglia. Allora Giusto si offrì di procurargli dei generi alimentari, visto che lui era rappresentante di commercio e ogni tanto riceveva degli omaggi dalla sua ditta; da quella volta si davano puntualmente appuntamento in centro per la consegna di questi generi alimentari. La fame era tanta e gli faceva superare la paura di essere scoperti”. Come lui, in tanti aiutarono gli ebrei in quei giorni, ma ci furono anche i tristissimi episodi delle “soffiate” fatte per guadagnare qualche soldo. Sempre Maria ci dice: ” Si era sparsa la voce di non dare mai la mano per strada a qualcuno, perché c’era chi usava questo gesto di cortesia per avvertire i fascisti che quella era la persona da arrestare”.Graziella Dell’Ariccia, che ancora oggi vive a Testaccio con la sorella Celeste ci racconta come quel 16 ottobre si salvò grazie all’aiuto di alcuni vicini di casa, che li avvertirono in tempo dell’arrivo dei tedeschi. Ci dice: “A Testaccio non ci sono stati episodi di infamia; c’era tanti bravi cristiani, che si misero a rischio per aiutarci. Io, mia madre e mia sorella per un periodo abbiamo vissuto nascoste nel sottoscala del Teatro Vittoria e poi dalle Suore Salesiane di Testaccio. Ci trattavano bene; sapevano che eravamo ebree, ma ci facevano partecipare alle loro preghiere. Mamma mi diceva: ” Prega insieme a loro e recita lo Shemà Israel”. La sua famiglia è scampata alla razzia del 16 ottobre, ma nei mesi successivi presero suo nonno e suo fratello di 18 anni. Tutti e due si chiamavano Benedetto.

Quest’anno la marcia della memoria del 16 ottobre si svolgerà il 18 ottobre.

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