Un grido che interpella la coscienza di tutti: i maltrattamenti nelle RSA e nelle case di riposo non sono episodi isolati, ma il frutto di una cultura dello scarto che minaccia il futuro della nostra società. In un articolo pubblicato su Menti in Fuga, Mario De Finis (Comunità di Sant’Egidio) denuncia con chiarezza questo scandalo silenzioso. Prendersi cura degli anziani significa costruire una società più umana e solidale. Volentieri lo ripubblichiamo sulle pagine di Viva gli Anziani!
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“È di pochi giorni fa la notizia del sequestro di tre comunità alloggio per disabili e anzianiin provincia di Siracusa e del contestuale arresto di 12 persone per i reati di maltrattamenti e sequestro di persona. I dipendenti delle strutture sanitarie – sostenuti dai titolari – si sono resi protagonisti di numerose e continue e umilianti vessazioni, documentate da intercettazioni telefoniche e ambientali, tra cui: mancata assistenza, aggressione verbale (urla, ingiurie, minacce) e fisica (schiaffi, pugni, spintoni), somministrazione di farmaci da parte di personale non autorizzato, uso di strumenti di contenzione ben oltre le necessità terapeutiche. Il tutto nei confronti di pazienti con problemi psichiatrici, finendo con il pregiudicarne anche le più elementari attività fisiologiche, (dall’alimentazione all’espletamento dei bisogni), e con conseguente stato di avvilimento e frustrazione dei pazienti stessi
Il maltrattamento rivolto a persone anziane secondo l’OMS definisce «ogni azione, singola o ripetuta, oppure l’assenza di un’azione adeguata, che causa sofferenza o danni, nell’ambito di una relazione connotata da un’aspettativa di fiducia nei confronti del caregiver» (OMS, 2022). E la letteratura internazionale in materia ne riconosce varie ed eterogenee forme che ritroviamo purtroppo spesso nelle cronache nazionali:
- il maltrattamento fisico: caratterizzato da qualsiasi forma di maltrattamento verso il corpo della vittima, con lesioni o percosse causate dallo spingere, colpire, trattenere o anche limitare fisicamente l’anziano, che interessa il 14,1% degli anziani istituzionalizzati;
- il maltrattamento sessuale, ovvero tutti quei comportamenti che implicano un abuso, sia fisico che verbale, inerente la sessualità dell’anziano: quindi violenze esplicite, ma anche irrisioni o ammiccamenti a sfondo sessuale, che riguarderebbe il 1,9% degli anziani in casa di riposo
- l’abuso di tipo finanziario o economico: può essere composto sia da aspetti di violenza fisica che di quella psicologica, e si concretizza in un uso improprio dei beni della persona anziana senza il suo consenso; si può manifestare tanto con vere e proprie estorsioni quanto con la costrizione dell’anziano a firme forzate al fine di prelevare denaro dal suo conto corrente o nominati eredi esercitando violenza ed intimidazione: ne sono interessati il 13,8% degli anziani in RSA
- il maltrattamento psicologico e emotivo: è la forma di abuso meno visibile e si compone di atteggiamenti svalutanti, mancato rispetto delle persone, infantilizzazione e ogni altra forma di comportamento che causa, nelle persone che lo subiscono, disistima, frustrazione e umiliazione
- l’incuria: si riferisce a comportamenti di mancata stimolazione fisica e sociale degli anziani, a mancanza o carenza di nutrizione, pulizia e cure, all’assenza di precauzioni per la sicurezza e a un trattamento medico e sanitario inappropriato: costituisce l’11,6% degli abusi nelle RSA ed è un fenomeno comunemente ammesso da quasi la metà del personale coinvolto nell’assistenza quotidiana.
Pur nella diversità di espressione, ogni forma di abuso genera comunque conseguenze fisiche e psicologiche sulla vittima anziana, come un maggior rischio di sviluppare sindromi depressive, un aggravamento del deterioramento cognitivo o di ulteriori patologie croniche già presenti, oltre ad un forte sentimento di colpa e vergogna, acuito dal senso di impotenza contro i maltrattamenti e la consapevolezza di non poter reagire sul piano fisico.
Il fenomeno ha proporzioni larghissime. Sempre secondo l’OMS, circa 1 persona su 6 di età superiore ai 60 anni ha subito forme di abuso (OMS, 2018), con una proiezione al 2050 di 320 milioni di anziani colpiti. In Italia, il maltrattamento verso gli anziani ricoverati (soprattutto anziani non autosufficienti, disabili e psichiatrici) nelle 12.630 strutture residenziali socio-assistenziali e socio-sanitarie (con un ‘offerta di 421.00 posti letto), è ancora un argomento tabù. Pur essendo un fenomeno diffusissimo e in continua espansione in forme plurali, silenziose e striscianti, la violenza contro gli anziani è una realtà purtroppo largamente sottostimata nel suo inculcarsi in profondità all’interno delle strutture attraverso processi organizzativi, sociali e culturali di cui non sempre vi è piena consapevolezza.
Questo fenomeno dei maltrattamenti rappresenta un serio problema – anche in prospettiva futura: infatti, secondo i dati 2023-2024, oltre 300.000 anziani sono stati ricoverati almeno una volta in una RSA, con un costo mensile a carico della famiglia e dei caregiver e non dello Stato (inappropriatamente, secondo la sentenza n. 1644 del 2025 della Corte di Appello di Milano) che varia in media tra 1.800 e 3.500 €. Se pensiamo che in Italia oltre 1 milione di persone soffre di malattie neurodegenerative e tra queste circa 600.000 di Alzheimer, comprendiamo l’entità del carico assistenziale ed economico che ne deriva per i circa 3 milioni di familiari e caregiver ed i relativi potenziali risvolti socioeconomici in una prospettiva di immediato futuro.
Secondo dati del 2024 della Società Italiana di Geriatria e Gerontologia, circa i due terzi degli abusi su anziani in Italia avvengono nelle RSA e nelle case di riposo, con una prevalenza di: mancanza di rispetto per la dignità e la privacy e di flessibilità, di uso improprio di farmaci, di mancata fornitura (occhiali, apparecchi acustici o protesi dentali), di carenza nutrizionale e mancata assistenza nel mangiare. E in particolare di uso inappropriato di mezzi di contenzione. Anche qui le proporzioni del fenomeno sono inquietanti, nonostante la presenza di revisioni di letteratura e di pratica che mostrano inefficacia specifica e provocazione di effetti pericolosi, a vario titolo, a carico dei pazienti – molti e per tempi eccessivi – sottoposti a contenzione. «I casi di abuso delle contenzioni – secondo il Presidente 2025-‘25 della Società di Geriatria – si sprecano». Anche il Comitato Nazionale per la Bioetica riconosce la diffusione del fenomeno: «La pratica di legare i pazienti e le pazienti contro la loro volontà risulta tuttora applicata, in forma non eccezionale ma ordinaria, senza che vi sia un’adeguata attenzione alla gravità del problema, né da parte dell’opinione pubblica né delle istituzioni».
In Lombardia, ad esempio, nel 2023 su circa 66mila posti letto nelle RSA private, circa 42mila pazienti sono stati sottoposti ad almeno una forma di contenzione. Secondo Claudia Mahler, esperta indipendente ONU sui diritti degli anziani, si assiste ad « un totale scollamento tra ciò che la scienza ci dice e ciò che accade nella pratica».
Una inchiesta, finanziata da fondo IJ4EU, grazie ad una indagine di cinque mesi realizzata in collaborazione con Expresso (Portogallo), el Diario (Spagna) e Undark Magazine (USA) pubblicata su l’Espresso di qualche giorno fa, rivela che in Italia e in molti Paesi del Mediterraneo continua l’uso di lenzuola, fasce, sponde del letto e altri strumenti che limitano i movimenti – magari per chi soffre di demenza e si agita magari solo perché ha fame, dolore, o semplicemente bisogno di muoversi. Tutto ciò nonostante svariati recenti studi scientifici e persino il Ministero della Salute ne dimostrino effetti nocivi evidenti come delirio, peggioramento del benessere psicologico e disturbi post-trumatici da stress. Sino ad esiti tragici, come quello dell’anziano Aldo Rabagliati morto dopo un solo mese di ricovero in una casa di riposo, dove veniva tenuto in una stanza con le finestre sbarrate, legato di giorno e di notte a una sedia con stracci annodati attorno alle braccia e alla vita, sottoposto a terapia antipsicotica non concordata, diventando secondo i familiari «una larva in una settimana, dato che non mangiava neanche più» (…).
Tra l’altro, secondo Sezer Kisa, docente di Global Health Nursing presso l’Università Metropolitana di Oslo), con il progressivo invecchiamento e aumento delle demenze, aumenta anche il rischio che le contenzioni – da prevenzione di autolesionismo, cadute, condotte aggressive – vengano utilizzate sempre più spesso. Un rischio che corre potenzialmente ogni cittadino che invecchia (più alto in Italia dove l’invecchiamento procede più rapidamente)
Del resto, già oggi angherie, negligenza, maltrattamenti fisici e psicologici, abusi nelle RSA, sono riferiti dal 30% degli anziani fragili, incapaci di badare a sé stessi a causa di una malattia o una disabilità fisica. Certo, vanno considerati dei fattori di rischio (ovvero condizioni, esperienze, aspetti degli stili di vita e dell’ambiente, nonché caratteristiche individuali di chi riceve e chi offre le cure) che aumentano la probabilità che si verifichi una qualche forma di abuso. Rispetto alle potenziali vittime: l’età avanzata, le condizioni di disabilità fisica o cognitiva, la difficoltà o impossibilità di comunicare l’abuso subito, la paura di denunciare e la tendenza a proteggere o giustificare chi compie un comportamento d’abuso.
Rispetto al contesto e agli operatori: la scarsa o assente formazione sul tema, la mancanza di consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni, una maggiore attenzione alle proprie esigenze o a quelle dell’organizzazione rispetto a quelle della persona da assistere, la fragilità dell’équipe. In questo senso sarebbe – e sarà – quindi necessario individuare e implementare misure per aumentare la consapevolezza e le competenze del personale in relazione alle condotte maltrattanti, e per rinforzare e sostenere un nuovo modello organizzativo capace di inglobare tra le sue priorità anche la gestione responsabile del rischio di maltrattamento, attraverso formazione, coinvolgimento, accompagnamento e supervisione del personale.
Ma il punto cruciale è un altro. Come ha lucidamente scritto Luca Fazzi, professore ordinario presso il dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell’Università di Trento.: «È innegabile che le RSA siano per loro stessa natura inumane, ‘istituzioni totali’, dove chi entra deve lasciare il suo ambiente vitale, i suoi tempi di vita, la partecipazione alle feste di famiglia, persino gli abiti che porta con sé; dove tutto quello che era prima dell’ingresso e che contribuiva a definire l’identità delle persone è radicalmente trasformato e in larga parte va perduto per sempre».
E come ha scritto Andrea Camilleri: «Mettere un anziano in Istituto significa fargli perdere la memoria e la sua storia. È peggio dello sradicamento di un albero dal suo terreno».
È questo il punto. La questione in gioco è che i molteplici episodi – si calcola negli ultimi anni un caso ogni 2 settimane in Italia – di deliberata indifferenza rispetto agli elementari bisogni di assistenza, le violenze sistematiche e quotidiane verso anziani – anche centenari! – costretti a letto e incapaci di difendersi da maltrattamenti di una brutalità inimmaginabile, nella fase più fragile della loro esistenza, rimandano a un più generale problema di mentalità e di cultura, assurto ormai a sistema. Come ha detto recentemente Andrea Riccardi: «siamo nell’età del denaro e della forza, che sono legati tra di loro». E quindi anche di una cultura di vittimismo che è alla base dell’aggressività di tanti Caino che si sentono vitali, autosufficienti e forti e pensano di poter fare a meno dell’altro, escludendolo e – di fatto – eliminandolo.
Da un lato il vittimismo dei figli che si sentono irritati, risentiti, non apprezzati, in credito di qualcosa, in quanto presunte vittime della fragilità dei loro genitori anziani, che li costringerebbe a doversi fare carico di loro nonostante le tante incombenze familiari e lavorative. E allora silenziosamente li istituzionalizzano e spesso li abbandonano – ancora lucidi e in buone condizioni di salute – in RSA e case di riposo lontane, in modo da non vedere più i loro problemi, di fatto eliminandoli dalla propria vista e dalla propria vita. Dall’altro il vittimismo degli operatori delle RSA e delle case di riposo, costretti a fare un lavoro pesante e con poche gratificazioni economiche e di relazione, che sfogano la loro frustrazione su chi non può difendersi.
L’anziano in RSA o in Istituto – l’Abele di oggi – ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui perché da solo non può nulla, e viceversa subisce abbandono, violenza disumana ed efferata. Vincenzo Paglia nel suo bel testo L’età da inventare riporta l’inizio del romanzo di May Sarton, scritto proprio dall’Istituto in cui era stata portata dal fratello: «Mi trovo in un campo di concentramento per vecchi, un posto dove la gente scarica i genitori o i parenti proprio come se si trattasse di un bidone dell’immondizia».
L’Istituzionalizzazione degli anziani esemplifica bene la cultura dell’esclusione della nostra società, che spinge con forza a distogliere lo sguardo dal fragile e tenerlo fisso su sé stessi, così da restare meri e indifferenti spettatori della vita, quasi legittimati a ignorare tutto e a massimizzare i propri profitti: a scapito di tutto. Esattamente l’accusa formulata nei confronti delle strutture e dei responsabili e dipendenti nel suddetto recente episodio di Siracusa, come tanti altri sul territorio nazionale: «Avere l’unico fine di massimizzare i profitti a scapito delle condizioni strutturali, igienicosanitarie, funzionali e organizzative degli anziani residenti».
Jonathan Sacks affermava: «quando l’io predomina sul noi, la mentalità di mercato si diffonde sugli altri aspetti della vita”, dando vita a un sistema che, come diceva papa Francesco, impone «la logica del profitto ad ogni costo, senza pensare per niente all’esclusione sociale». Abusi, profitto, indifferenza, esclusione: questa mentalità va al più presto rimpiazzata da una nuova cultura fatta di partecipazione, attenzione alla fragilità, condivisione, prendersi cura dell’altro. In sintesi: amore. Sì, amore. Perché come ha detto tempo fa un’anziana: i vecchi, senza amore, muoiono.
Ignorarlo non è solo colpevole miopia, ma un vero e proprio suicidio per una società invecchiata di un’Italia che – dopo Giappone e Corea del Sud – è il Paese in cui l’invecchiamento procede più rapidamente e che solo nella gratuità e nella solidarietà, praticate e diffuse, può trovare futuro e speranza. Pur in un quadro difficile e complesso, ci sono ragionevoli motivi di fiducia per trovare e convogliare energie spirituali, morali e civili nella direzione di realizzare questa rivoluzione antropologica.
Mario De Finis
Maltrattamenti nelle RSA e nelle case di riposo. La cultura dello scarto e il futuro della società (da Menti In Fuga)
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