Poter rimanere a casa propria da anziani, anche quando le difficoltà aumentano: ecco quello che chiede Maria, una donna anziana come tante, nell’accorata lettera/appello, raccolto dalla Comunità di Sant’ Egidio nel 1991 ed ancora oggi di grande attualità. La scelta di diffondere la “lettera di Maria” è stata suscitata all’epoca dalla consapevolezza che le sue parole affrontavano un problema condiviso da molti altri anziani: la paura di finire i propri giorni lontano dalla propria casa e dai propri affetti. Questo avveniva e avviene ancora oggi per mancanza di risorse, di relazioni umane, ma soprattutto perché è ancora poco diffusa una cultura dei servizi a domicilio, a differenza di altri paesi europei, dove da anni non si investe più sulla residenzialità, ma si è avviato un processo di riconversione dei grandi istituti in servizi di home care: da noi invece ancora si preferisce il ricovero in istituto, anche se più dispendioso per il singolo e per la collettività, perché “si è sempre fatto così” e si ha difficoltà a pensare soluzioni nuove per i problemi legati alla non autosufficienza o per le difficoltà abitative, che riguardano grandi numeri di anziani nel nostro paese.In questo senso la campagna di raccolta di firme in favore della Lettera di Maria ha avuto un ruolo significativo nel suggerire un cambiamento di mentalità alla fine degli anni ’90. Già nel 1997 le prime 100.000 firme, raccolte in Italia, furono consegnate all’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, perché si facesse interprete presso le sedi istituzionali italiane della volontà degli anziani di rimanere a casa propria potendo contare su alcuni servizi in loro favore. Grazie alla pubblicità che la lettera ha avuto anche sulla stampa periodica e sui giornali diocesani la sua diffusione è stata piuttosto capillare sul territorio nazionale. In questi anni moltissimi sono stati gli incontri, le conferenze pubbliche, le campagne di raccolta firme: iniziative nate dal coinvolgimento personale di tanti. In breve tempo “la lettera di Maria” ha superato i confini del mondo degli anziani: è arrivata nelle scuole, negli uffici, nelle case. Infatti, se tra i firmatari la maggior parte è costituita da ultra sessantenni, numerose sono state le firme di giovani e di adulti. La “Lettera di Maria” ha avuto il merito di aver sollevato un problema comune a migliaia di anziani e di aver formulato un’ipotesi di soluzione diffondendo un movimento di opinione favorevole al potenziamento dei servizi domiciliari come alternativa all’istituzionalizzazione indiscriminata. Oggi in una società profondamente cambiata, con il sistema di Welfare in piena crisi, di fronte alla crescita esponenziale della nostra popolazione anziana, è ancora più necessario prendere in mano questi temi perché diventino patrimonio comune e siano prioritari nell’agenda delle riforme. Per questo rilanciamo la raccolta di firme perché abbia massima diffusione.

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Ho quasi settantacinque anni, vivo da sola a casa mia, la stessa in cui stavo con mio marito, quella che hanno lasciato i miei due figli quando si sono sposati. Sono sempre stata fiera della mia autonomia, ma da un po’ non è più come prima, soprattutto quando penso al mio futuro. Sono ancora autosufficiente, ma fino a quando ? Tra me e me m’accorgo che i gesti diventano giorno per giorno un po’ meno disinvolti, anche se mi dicono ancora: “Fossi io come lei alla sua età …”. Uscire per la spesa e tenere la casa mi fa una fatica crescente. E allora penso: “Quale sarà il mio futuro ?”. Quando ero giovane la risposta era semplice: con tua figlia, col genero, con i nipoti. ma adesso come si fa, con le case piccole e le famiglie in cui lavorano tutti ? Allora anche adesso la risposta è semplice: l’istituto. E’ martellante, lo dicono tutti, però tutti sanno anche, e non lo dicono, che nessuno vorrebbe lasciare la sua casa per andare a vivere in un istituto. Non posso credere davvero che sia meglio un comodino, uno spazio angusto, una vita tutta anonima alla propria casa, dove ogni oggetto, un quadro, una fotografia, ricordano e riempiono anche una giornata senza tante novità. Sento spesso in giro chi dice: “L’abbiamo messo in un bell’istituto, per il suo bene”. Magari sono sinceri, ma loro non ci vivono. Non è neppure un “male minore”, ma necessario. Ammettiamo pure di non capitare in uno di quei posti da telegiornale, dove gli fa fatica pure darti l’acqua se hai sete, o ti maltrattano solo perché si sentono frustrati del lavoro che fanno. Però non credo proprio che sia un istituto la risposta a chi sta un po’ male e, soprattutto sta solo. Ritrovarsi a vivere all’improvviso con persone estranee, non volute e non scelte è davvero un modo per vincere la solitudine? So bene come si vive in istituto. Succede che vuoi riposare e non ci riesci perché non sopporti il rumore degli altri, i colpi di tosse, le abitudini diverse dalle tue. Si dice che da vecchi si diventa esagerati. Ma non è un’esagerazione immaginarsi che se vuoi leggere c’è chi vuole la luce spenta o che se vuoi vedere un programma, o se ne guarda un altro o non è orario. In un ricovero anche i problemi più banali diventano difficili: avere ogni giorno il giornale, riparare subito gli occhiali quando si rompono, comprare le cose che ti servono se non puoi uscire. Capita spesso che ti scambino la biancheria con quella di un’altra dopo la lavanderia e poi non puoi tenere niente di tuo. Quello che è peggio – ammesso che il mangiare non sia cattivo – è che non si può decidere quasi niente: quando alzarsi e quando restare a letto, quando accendere e quando spegnere la luce, quando e cosa mangiare. E poi, quando uno è più anziano (ed è più imbarazzato perché si sente meno bello di una volta), è costretto ad avere tutto in comune: malattia, debolezze fisiche, dolore, senza nessuna intimità e nessun pudore. C’è che dice che in istituto “hai tutto senza pesare su nessuno”. Ma non è vero. Non si ha tutto e non è l’unico modo per non dare fastidi ai propri cari. Un’alternativa ci sarebbe: Poter stare a casa con un po’ di assistenza e, quando si sta peggio o ci si ammala, poter essere aiutati a casa per quel tempo che serve. Questo servizio già esiste, ma più sulla carta che in realtà. Ogni amministrazione dovrebbe garantire l’assistenza. Siamo in tanti, infatti, che potremmo rimanere a casa anche soltanto con un piccolo aiuto (un servizio piccole spese, pagamenti di bollette, un po’ di pulizie, eccetera), o con l’assistenza sanitaria a domicilio (il fisioterapista, il medico, l’infermiera), come previsto dalla legge italiana. E non è vero che tutto questo costa troppo. Questi servizi costano tre o quattro volte meno di un mio eventuale ricovero in una lungodegenza o in istituto. All’estero mi dicono che è diverso. Qui da noi, invece, succede che finisci in un istituto e che nemmeno l’hai deciso tu. Non capisco perché si rispettano le volontà di un testamento e invece non si viene ascoltati da vivi se non si vuole andare in istituto. Ho sentito alla TV che qui in Italia sono state stanziate migliaia e migliaia di miliardi per costruire nuovi istituti e per realizzare 140.000 posti letto. Se abitassi in una baracca ne sarei pure contenta. Ma io una casa e un letto, il mio “posto letto” già ce l’ho, non c’è bisogno di creare nuove cucine per prepararmi il pranzo, potete usare la mia. Non ho bisogno che mi costruiate una nuova grande sala per vedere la TV, ho già la mia televisione in camera. Il mio bagno funziona ancora bene. La mia casa, semmai, necessita soltanto di qualche corrimano e maniglia al muro: vi costerebbe molto meno. Quello che desidero per il mio futuro è la libertà di poter scegliere se vivere gli ultimi anni della mia vita a casa o in istituto. Oggi questa libertà non ce l’ho. Usufruire dell’assistenza domiciliare è molto difficile, quasi impossibile: le domande sono molte e il servizio è ancora troppo limitato. ma se questa assistenza domiciliare si sviluppasse di più e diventasse per tutti quelli che hanno bisogno, potreste anche fare a meno di costruire tanti nuovi, costosi istituti. E persino gli ospedali sarebbero meno affollati. Per questo, anche se non più giovane, voglio ancora far sentire la mia voce e dire che in istituto non voglio andare e che non lo auguro a nessuno. Aiutate me e tutti gli anziani a restare a casa e a morire fra le proprie cose. Forse vivrò di più, sicuramente vivrò meglio.

Maria

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